Il lavoro intermittente, conosciuto anche come lavoro a chiamata, è una tipologia contrattuale pensata per gestire esigenze lavorative discontinue. Può essere stipulato sia a tempo determinato che indeterminato e consente al datore di lavoro di richiedere la prestazione solo nei periodi di effettiva necessità.
Questo tipo di contratto è utilizzabile:
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nei casi previsti dai contratti collettivi o da accordi aziendali, anche con riferimento a periodi specifici dell’anno;
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in assenza di contratto collettivo, nei casi individuati dal Ministero del Lavoro (R.D. n. 2657/1923);
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sempre, se il lavoratore ha meno di 24 anni (purché le prestazioni siano rese entro il 25° anno) o più di 55 anni.
Il limite massimo di utilizzo è di 400 giornate di lavoro in tre anni solari con lo stesso datore; superato questo periodo, il contratto diventa automaticamente a tempo pieno e indeterminato.
Quando il lavoratore non è chiamato, non ha diritto alla retribuzione, salvo il caso in cui garantisca la propria disponibilità, percependo in tal caso l’indennità di disponibilità. Per le giornate effettivamente lavorate spetta la normale retribuzione, proporzionata alle ore di lavoro svolte.
Il contratto prevede specifici adempimenti: oltre alla comunicazione di assunzione (UNILAV), ogni chiamata deve essere comunicata prima dell’inizio della prestazione o di un ciclo di prestazioni (fino a 30 giorni), tramite SMS, e-mail o portale Cliclavoro. In caso di variazione, la chiamata va annullata prima dell’orario previsto.
Il lavoro a chiamata rappresenta una soluzione flessibile per molte realtà aziendali, soprattutto nei settori con picchi stagionali o esigenze variabili, garantendo nel contempo un corretto inquadramento contrattuale e contributivo.


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