L’Ispettorato nazionale del lavoro ha fatto luce sulla prassi di inserire nella busta paga mensile la quota in questione.

In alcuni casi, su richiesta del lavoratore, la somma può essere anticipata. Diversamente, è un aumento retributivo

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), con nota prot. 616 del 3 aprile 2025, ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla legittimità della prassi dell’anticipo mensile del TFR in busta paga. I chiarimenti rispondono a una richiesta dell’Ispettorato dell’area metropolitana di Milano, trasmessa tramite la Direzione interregionale del lavoro del Nord, riguardante la legittimità della prassi – riscontrata dal personale ispettivo – di erogare mensilmente in busta paga quote del TFR.

In particolare, si è chiesto se l’anticipazione del TFR, effettuata oltre il termine previsto dal regime sperimentale introdotto dalla Legge n. 190/2014 (valido dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018), sia legittima solo nei casi espressamente previsti dall’art. 2120 del Codice Civile, e se ogni altra forma di anticipazione debba considerarsi illegittima. La nota analizza inoltre le conseguenze ispettive derivanti dal disconoscimento delle somme erogate come ratei di TFR.

L’INL, in via preliminare, ha richiamato la disciplina dell’istituto contenuta nell’art. 2120 del Codice Civile, il quale prevede che, al termine del rapporto di lavoro subordinato (o in caso di cessazione), il lavoratore abbia diritto a un trattamento di fine rapporto, calcolato sommando per ciascun anno di servizio una quota pari, e comunque non superiore, all’importo della retribuzione annua divisa per 13,5. Lo stesso articolo stabilisce anche le condizioni per le quali il lavoratore può richiedere l’anticipazione del TFR: spese sanitarie straordinarie riconosciute da strutture pubbliche o l’acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, documentato da atto notarile.

L’ultimo comma dell’art. 2120 consente alla contrattazione collettiva o ai patti individuali di introdurre condizioni di miglior favore per l’anticipazione. Tuttavia, in assenza di tali condizioni, l’erogazione mensile del TFR in busta paga si configura come una maggiorazione retributiva e, come tale, soggetta a contribuzione.

Il TFR rappresenta una somma accantonata mensilmente dal datore di lavoro, da corrispondere al lavoratore al termine del rapporto, con la finalità di fornire un sostegno economico a fine rapporto. Pertanto, ai sensi del decimo comma dell’art. 2120, l’INL chiarisce che eventuali accordi, collettivi o individuali, possono riguardare l’anticipazione di quote già maturate, ma non un’erogazione automatica e ricorrente in busta paga, la quale verrebbe considerata come retribuzione ordinaria, con relative implicazioni contributive.

Sul piano ispettivo, in presenza di casi di erogazione mensile del TFR non prevista dalla normativa, il personale dovrà intimare al datore di lavoro l’obbligo di accantonare le somme illegittimamente anticipate, mediante l’adozione del provvedimento di disposizione immediatamente esecutivo, ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 124/2004.

La posizione dell’INL – secondo cui gli accordi individuali possono riguardare solo quote già maturate e non il rateo mensile – rischia però di restringere il campo di applicazione dell’art. 2120, ultimo comma, riducendo il margine d’azione della contrattazione collettiva, che potrebbe invece definire condizioni più favorevoli rispetto a quelle già previste dalla legge.

Le regole fissate dall’INL enfatizzano la necessità di bilanciare i diritti immediati del lavoratore con la sua protezione a lungo termine. Tuttavia, limitano l’autonomia delle parti prevista dal Codice Civile, precludendo soluzioni che, pur garantendo flessibilità nell’utilizzo del TFR, ne mantengano la funzione originaria. Questo approccio, secondo alcuni, potrebbe ostacolare l’evoluzione dell’istituto verso forme più adattive, in risposta alle esigenze di liquidità e pianificazione economica del lavoratore.